Il “patto di prova”: l’approfondimento dello studio legale di Andrea Mascetti

Andrea Mascetti

L’avvocato Andrea Mascetti è il titolare dello Studio Legale Mascetti, una realtà da lui stesso definita “multidisciplinare” poiché composta da un gruppo di avvocati esperti in diversi rami del diritto civile, amministrativo e penale. Un valore aggiunto che consente allo Studio di poter affrontare anche le più delicate questioni giuridiche di aziende, enti pubblici e privati.

Oltre ad attingere dai diversi settori del diritto per proporre al cliente le soluzioni migliori, gli avvocati che compongono il team di Andrea Mascetti sono professionisti sempre aggiornati nei propri ambiti di competenza. Lo dimostrano i numerosi approfondimenti presenti sul sito ufficiale dello Studio Legale, come quello pubblicato di recente sul “patto di prova”, che ha come autore l’avvocata specializzata in diritto del lavoro Stefania Massarenti.

Il “patto di prova”, come suggerisce il nome, non è altro che un accordo specifico che il datore di lavoro e il lavoratore appongono al contratto per stabilire un periodo iniziale di prova durante il quale entrambi si danno la libertà di capire se intendono o meno rendere definitivo il contratto di lavoro. Nell’approfondimento del legale afferente allo Studio di Andrea Mascetti, nello specifico si argomenta perché “se il patto di prova è nullo, al lavoratore è accordata tutela reintegratoria piena”.

Oltre al requisito formale della forma scritta – spiega l’avvocata – il patto di prova deve indicare in modo chiaro e preciso le mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, per consentire allo stesso di mettere a disposizione le proprie attitudini e competenze professionali e, al contempo, fornire al datore di lavoro elementi utili per esprimere un giudizio sull’esito della prova esperita”. A sostegno di questa definizione ci sono delle sentenze espresse di recente.

La Corte d’Appello di Milano, ad esempio, ha ritenuto “nullo il patto di prova apposto al contratto di lavoro per genericità delle mansioni indicate”. Questo perché, come suggerito dalla Suprema Corte, il patto di prova “deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto”. Qualora le mansioni riportate nel patto siano caratterizzate da indeterminatezza, il datore di lavoro sarà sanzionato con “la conversione del rapporto in prova in un ordinario rapporto a tempo indeterminato che può essere interrotto solo applicando il regime ordinario in materia di licenziamenti” e “il risarcimento danni pari a tutte le retribuzioni non percepite dal recesso fino alla ripresa del lavoro”.

Sulla stessa linea anche una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma, la quale ha affermato che “il semplice richiamo alla qualifica contenuta nel CCNL applicato non è idoneo a integrare una chiara e specifica indicazione delle mansioni oggetto della prova”. Di conseguenza, “la mancanza di tali indicazioni non consente al lavoratore di contestare il mancato superamento del periodo di prova e al Giudice di effettuare la verifica in concreto”.

Sulla base di tali pronunce, la collaboratrice di Andrea Mascetti suggerisce dunque di “provvedere a indicare con sufficiente specificità l’incarico e le mansioni assegnate al lavoratore in prova”, così da “non incappare in eccezioni di nullità del patto di prova”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

1 × cinque =