Si dice bevanda di soia, non latte di soia

Dalla soia alla mandorla, dalla nocciola alla castagna, dal cocco al riso, dal farro all’avena. Il mercato delle alternative al latte è un mercato davvero florido che ha fatto guadagnare alle bevande vegetali interi scaffali riservati apposta per loro all’interno dei supermercati. 

Superato il periodo della pubblicità massiccia di prodotti a base non animale che ha rubato una grossa fetta di clienti al mercato alimentare tradizionale, adesso le aziende produttrici di prodotti veg possono rilassarsi mentre vedono i numeri continuare ad aumentare da soli. Già nel 2019 si calcolava che il business degli alimenti a base vegetale fruttava 4,5 miliardi di dollari. Tra chi è intollerante al lattosio e chi invece lo fa per una scelta etica o salutistica, sono davvero tante le persone che hanno abbandonato il latte vaccino per sostituirlo con la controparte vegetale. 

I produttori di latte però non si sono dati per vinti e, insieme ai produttori di carne, da anni portano avanti una guerra basata sull’accusa di abuso di denominazioni ritenute ingannevoli perché “prendono in prestito” termini tradizionalmente associati agli alimenti di origine animale. Così facendo vanno “contro alle regole in materia di etichettatura (regolamento (UE) n. 1169/2011) e di commercializzazione dei prodotti lattiero-caseari (regolamento (UE) n. 1308/2013)”, stando a quanto dichiarato da alcuni europarlamentari qualche anno fa.

A differenza di quanto deciso per i sostituti della carne, per i quali l’UE ha dato il suo lasciapassare all’utilizzo di termini come “hamburger vegetale” e “salsiccia vegana”, il Parlamento Europeo ha dichiarato che sulle confezioni dei sostituti del latte non sarà possibile evocare in alcun modo i prodotti lattiero caseari. Quindi niente più “latte di soia” o “formaggio di tofu”.

Mentre infatti si è ritenuto che l’utilizzo di parole associate alla carne non confondessero i consumatori e che anzi le stesse sarebbero utili alla transizione verso una dieta più sostenibile, l’UE ha stabilito che le denominazioni “yogurt”, “latte”, eccetera, non sono ammissibili e possono essere utilizzate esclusivamente per i prodotti che derivano effettivamente dal latte.

La differenza di sentenza si baserebbe su una distinzione tra la materia prima e la preparazione. Nel caso della carne, quando si parla di salsicce, hamburger e ragù, in realtà si sta facendo riferimento a ricette e modi di tagliare. Per quanto riguarda invece i prodotti lattiero caseari, il latte, il burro e lo yogurt sarebbero materie prime.

Una (piccola) grande vittoria per i produttori di latte. Il presidente di Assolatte, l’Associazione Italiana Lattiero Casearia, afferma: “Non credo che queste bevande siano responsabili del calo dei consumi di latte, poiché sono nate per accontentare chi non vuole o non può consumare latte. La loro crescita però è anche la conseguenza della cattiva informazione e delle fake news che circolano sul latte. Peraltro, dopo alcuni anni di aumento delle vendite a due cifre, hanno davvero rallentato la corsa e oggi rappresentano meno del 10% dei consumi totali”.

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